A ciascuno il suo Everest
Ho iniziato a scrivere questo post 2 mesi fa. Poi non l'ho mai completato ed è rimasto lì, come bozza... Ora per qualche motivo mi sento di completarlo e regalarlo agli oramai cento lettori consolidati che mi riempono di fiducia sul mio futuro da blogger... Ma veramente? Ma sto a scherzà, dai!
Nell'inverno '97-'98 mi trovavo a Parigi grazie al programma universitario Erasmus. Ovviamente la prima cosa che feci al mio arrivo fu individuare la sala di arrampicata dove passare i fine settimana, essendo la Roccia lontana centinaia di km. Hey parliamo di un epoca in cui i cellulari erano roba da pochi manager e le e-mail personali, per chi aveva già un account, giravano al ritmo di una a settimana. Famosa divenne la battuta sulla trasmissione seguita da milioni di italiani all'ora di pranzo "Pronto Raffaela" dove dopo quasi un ora tentativi di contatti elettronici arrivò una e-mail e Raffaela gridò a squarcia gola "è arrivata una e-mail" a sancire l'evento unico. Dall'estero l'unico giornale on-line italiano era La Repubblica e per caricare la home page che era ovviamente la prima pagina del giornale in edicola, ci volevano 5 minuti. Ah.. la home page era anche l'unica! pagina del sito. Potevi zoomarla per leggere gli articoli di "prima" e basta. Zero contenuti interattivi, banner, link e tutta la mondezza varia che avvolge oggi lo stesso sito.
Ma ritorniamo alla Roccia. In verità a 50km est di Parigi si trova Fontainbleau un noto spot per bulderisti (specialità dell'arrampicata dove si scala su blocchi erratici o meglio di grandi dimensioni).
La foresta di Fontainbleau con i suoi massi è anche nota ai più per essere stata fonte di ispirazione per tanti pittori tra cui i famosi impressionisti come Monet, Renoire e Cezanne. Sui loro quadri al Musée d'Orsay potete ammirare le varie linee di roccia a cui si ispirarono poi generazioni di amanti dell'arrampicata. Bleau (non è un versaccio ma l'abbreviazione di Fontaibleau), luogo di profonda ispirazione per artisti in genere, ha dato vita ad una vera setta di boulderisti detti Bleusards. Poi non ditemi che i luoghi non influenzano o ispirano la mente di chi li frequenta.. Questa setta diede alla nascita il primo paio di scarpette di arrampicata e un numero innumerevole di alpinisti oltre che bulderisti. Insomma.... respect! Ma essendo io allora attratto più dalla classica falesia (per falesia si intende una striscia più o meno regolare di roccia) dovevo recarmi almeno nei paraggi di Auxerre (200km verso sud). La famosissima falesia del Rocher du Sassois.
L'unica vera ragione della sua notorietà risiede nel fatto che è l'unica vera fascia di roccia che si erge per una quarantina di metri in tutto il nord-est della Francia. Comunque un gran bel posto dove mettersi seduti a riflettere mirando i riflessi del fiume sottostante oltre che passare intere giornate a scalare. Ok!? Vi ho incasinato bene bene le idee e raccontato cose personali abbastanza inutili alla storia che segue.
Quindi torniamo al mio problema iniziale. Trovare una sala di arrampicata o meglio una comunità che mi accogliesse a braccia aperte e a mani sporche di magnesite. Non mi scoraggiai ed iniziai a girare per le varie sale di arrampicata e dopo 2 giorni trovai quella che faceva per me.
Ero a cavallo come si suol dire e potevo finalmente recarmi alla mia università. Frequentai il muro per 6 mesi. Nacquero grandi amicizie li dentro, specialmente con due arrampicatori con cui sin dal principio riconobbi un livello di intendimento che superava agevolmente la barriera linguistica. Al muro era attiva un associazione dal nome intrigante "A chacun son Everest".
Tutt'ora esistente si occupava e si occupa della riabilitazione di bambini e ragazzi malati o comunque interessati da cancro o leucemie. Non ho saputo resistere dal guardare con discrezione come lavoravano i vari operatori.
Uno degli istruttori, guida alpina o maestro di arrampicata, mi spiegò un pò la filosofia che c'era dietro e la trovai valida e affascinante. In fondo chi si trova suo malgrado ad affrontare un problema così grande si trova in una condizione molto simile a quella dei grandi alpinisti che inseguono la conquista di una vetta. Da piccoli che sono rispetto alle dimensioni del "problema" mettono volontariamente a repentaglio la propria vita. Certo da una parte c'è chi si trova a dover scalare la montagna non per scelta ma per casualità e ne avrebbe fatto volentieri a meno, mentre dall'altra, c'è chi la insegue volontariamente da una vita. Una vetta imposta contro una tanto cercata. Tolto questo diverso approccio le prospettive dell'esperienza in se per se si avvicinano di molto. Sentimenti spiacevoli, emozioni e drammi individuali sono così tanto vicini da accomunare la vetta degli uni alla più grande prova della vita degli altri.
Semplicemente incredibile. Chi vive una di queste esperienze non è e non sarà mai più come prima. La vita acquisisce un valore non scontato come per la gran parte di tutti noi.
Lo sguardo verso il mondo non è, e non sarà mai, più lo stesso. Sprofondare in un crepaccio di 40m o sentire il proprio corpo trascinato via come un fuscello da una slavina apre la porta a sentimenti e sensazioni tipiche di chi lotta per la sopravvivenza. Ancora una volta mi rendo conto come la vita sia l'unica cosa per cui vale la pena rischiare... la vita.
Nell'inverno '97-'98 mi trovavo a Parigi grazie al programma universitario Erasmus. Ovviamente la prima cosa che feci al mio arrivo fu individuare la sala di arrampicata dove passare i fine settimana, essendo la Roccia lontana centinaia di km. Hey parliamo di un epoca in cui i cellulari erano roba da pochi manager e le e-mail personali, per chi aveva già un account, giravano al ritmo di una a settimana. Famosa divenne la battuta sulla trasmissione seguita da milioni di italiani all'ora di pranzo "Pronto Raffaela" dove dopo quasi un ora tentativi di contatti elettronici arrivò una e-mail e Raffaela gridò a squarcia gola "è arrivata una e-mail" a sancire l'evento unico. Dall'estero l'unico giornale on-line italiano era La Repubblica e per caricare la home page che era ovviamente la prima pagina del giornale in edicola, ci volevano 5 minuti. Ah.. la home page era anche l'unica! pagina del sito. Potevi zoomarla per leggere gli articoli di "prima" e basta. Zero contenuti interattivi, banner, link e tutta la mondezza varia che avvolge oggi lo stesso sito.
Ma ritorniamo alla Roccia. In verità a 50km est di Parigi si trova Fontainbleau un noto spot per bulderisti (specialità dell'arrampicata dove si scala su blocchi erratici o meglio di grandi dimensioni).
La foresta di Fontainbleau con i suoi massi è anche nota ai più per essere stata fonte di ispirazione per tanti pittori tra cui i famosi impressionisti come Monet, Renoire e Cezanne. Sui loro quadri al Musée d'Orsay potete ammirare le varie linee di roccia a cui si ispirarono poi generazioni di amanti dell'arrampicata. Bleau (non è un versaccio ma l'abbreviazione di Fontaibleau), luogo di profonda ispirazione per artisti in genere, ha dato vita ad una vera setta di boulderisti detti Bleusards. Poi non ditemi che i luoghi non influenzano o ispirano la mente di chi li frequenta.. Questa setta diede alla nascita il primo paio di scarpette di arrampicata e un numero innumerevole di alpinisti oltre che bulderisti. Insomma.... respect! Ma essendo io allora attratto più dalla classica falesia (per falesia si intende una striscia più o meno regolare di roccia) dovevo recarmi almeno nei paraggi di Auxerre (200km verso sud). La famosissima falesia del Rocher du Sassois.
L'unica vera ragione della sua notorietà risiede nel fatto che è l'unica vera fascia di roccia che si erge per una quarantina di metri in tutto il nord-est della Francia. Comunque un gran bel posto dove mettersi seduti a riflettere mirando i riflessi del fiume sottostante oltre che passare intere giornate a scalare. Ok!? Vi ho incasinato bene bene le idee e raccontato cose personali abbastanza inutili alla storia che segue.
Quindi torniamo al mio problema iniziale. Trovare una sala di arrampicata o meglio una comunità che mi accogliesse a braccia aperte e a mani sporche di magnesite. Non mi scoraggiai ed iniziai a girare per le varie sale di arrampicata e dopo 2 giorni trovai quella che faceva per me.
Ero a cavallo come si suol dire e potevo finalmente recarmi alla mia università. Frequentai il muro per 6 mesi. Nacquero grandi amicizie li dentro, specialmente con due arrampicatori con cui sin dal principio riconobbi un livello di intendimento che superava agevolmente la barriera linguistica. Al muro era attiva un associazione dal nome intrigante "A chacun son Everest".
Tutt'ora esistente si occupava e si occupa della riabilitazione di bambini e ragazzi malati o comunque interessati da cancro o leucemie. Non ho saputo resistere dal guardare con discrezione come lavoravano i vari operatori.
Uno degli istruttori, guida alpina o maestro di arrampicata, mi spiegò un pò la filosofia che c'era dietro e la trovai valida e affascinante. In fondo chi si trova suo malgrado ad affrontare un problema così grande si trova in una condizione molto simile a quella dei grandi alpinisti che inseguono la conquista di una vetta. Da piccoli che sono rispetto alle dimensioni del "problema" mettono volontariamente a repentaglio la propria vita. Certo da una parte c'è chi si trova a dover scalare la montagna non per scelta ma per casualità e ne avrebbe fatto volentieri a meno, mentre dall'altra, c'è chi la insegue volontariamente da una vita. Una vetta imposta contro una tanto cercata. Tolto questo diverso approccio le prospettive dell'esperienza in se per se si avvicinano di molto. Sentimenti spiacevoli, emozioni e drammi individuali sono così tanto vicini da accomunare la vetta degli uni alla più grande prova della vita degli altri.
Semplicemente incredibile. Chi vive una di queste esperienze non è e non sarà mai più come prima. La vita acquisisce un valore non scontato come per la gran parte di tutti noi.
Lo sguardo verso il mondo non è, e non sarà mai, più lo stesso. Sprofondare in un crepaccio di 40m o sentire il proprio corpo trascinato via come un fuscello da una slavina apre la porta a sentimenti e sensazioni tipiche di chi lotta per la sopravvivenza. Ancora una volta mi rendo conto come la vita sia l'unica cosa per cui vale la pena rischiare... la vita.
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