La ritualità del climber
Tanti anni fa un vero "Maestro" appena sceso da un tiro mi disse: "Togliti le scarpette mettiti le scarpe e concentrati sui lacci delle scarpe. Quando sarai di nuovo a slacciare e riallacciare concentrati! Quando avrai finito di allacciarti le scarpe d'avvicinamento non sarai più in tensione. Quando ti riallaccerai le scarpette dovrai essere in tensione massima".
Ci vollero anni prima che apprezzassi tale suggerimento. Anni...
Anni in cui non partecipavo seriamente alla "vestizione" e magari continuavo a parlare o scherzare con chi mi circondava prima di attaccare un tiro o una via. Non mi sono mai presentato alla base di un 8b o di una via alla nord dell'Eiger sono un normalman.
Eppure quella fase che precede l'attacco del tiro è fondamentale nella riuscita di quest'ultimo. Gli attimi che precedono l'esecuzione sono sistematici e rituali per tutti. Sta a noi dargli il giusto valore. Come dei guerrieri ci accingiamo ad uno scontro tra noi stessi e la roccia. Dovremmo fare sempre attenzione a rispettare questa ritualità.
Provo sempre a concentrarmi sui lacci delle mie scarpette. Sono legato, assicurato e con i muscoli caldi. Sono all'inizio del tiro spesso preceduto da una smagnesata abbondante più per aumentare la concentrazione che per l'effettiva necessità di aderenza con la roccia.
Non mi danno più fastidio le persone che mi circondano, non devo più dimostrare niente a nessuno se non a me stesso. Riesco a costruirmi un discreto silenzio interiore anche se arrampicare in una falesia o una parete deserta sarebbe meglio e più semplice. Cani che abbaiano, chiacchiere alla base della parete, bambini che scorrazzano ed altri climber che gridano smorfie di sofferenza mentre scalano. Queste condizioni sono per alcuni un vero dramma. Non ricordo più oramai quante liti sono nate per il mancato rispetto del silenzio. Le più note sono a causa dei cani. C'è chi è arrivato alle mani e chi ha promosso campagne di restrizione di accesso alle falesie da parte dei quadrupedi. In generale credo che anche in quel caso si tratti di forme di educazione. Anche io ho un cane e capisco quanto la sua esuberanza possa essere fastidiosa ad altri. Motivo per cui me lo porto solo in posti remoti dove sono sicuro che non ci siano altri cani.
Comunque, l'escludersi dal caos che ci circonda è un fattore allenante (pensate alle gare!!) e a me piace ogni forma di allenamento fisica o mentale che sia.
Sono seduto sempre in luoghi più o meno scomodi e mi concentro sulle mie scarpette. La punta almeno deve essere pulita e la gomma calda quanto necessario per un grip decente.
Il grado non conta molto quello che conta è come riuscirò ad esprimermi al 30-70-100%?
L'idea di concentrarsi sulle scarpette ha diversi fattori fisici reali che la supportano. Non si guarda altrove, il campo visivo è pieno di noi stessi e si compie un gesto di routine che non richiede concentrazione.
Basta così poco per aumentare le nostre capacità soggettive e avvicinarsi a livelli di resa decorosi. Scalare non è come lavorare in una catena di montaggio. I pezzi sono pochi ma devono essere perfetti. Un fine lavoro da orefici attenti alla perfezione del più piccolo dettaglio e all'armonia dell'insieme dell'opera.
Ci vollero anni prima che apprezzassi tale suggerimento. Anni...
Anni in cui non partecipavo seriamente alla "vestizione" e magari continuavo a parlare o scherzare con chi mi circondava prima di attaccare un tiro o una via. Non mi sono mai presentato alla base di un 8b o di una via alla nord dell'Eiger sono un normalman.
Eppure quella fase che precede l'attacco del tiro è fondamentale nella riuscita di quest'ultimo. Gli attimi che precedono l'esecuzione sono sistematici e rituali per tutti. Sta a noi dargli il giusto valore. Come dei guerrieri ci accingiamo ad uno scontro tra noi stessi e la roccia. Dovremmo fare sempre attenzione a rispettare questa ritualità.
Provo sempre a concentrarmi sui lacci delle mie scarpette. Sono legato, assicurato e con i muscoli caldi. Sono all'inizio del tiro spesso preceduto da una smagnesata abbondante più per aumentare la concentrazione che per l'effettiva necessità di aderenza con la roccia.
Non mi danno più fastidio le persone che mi circondano, non devo più dimostrare niente a nessuno se non a me stesso. Riesco a costruirmi un discreto silenzio interiore anche se arrampicare in una falesia o una parete deserta sarebbe meglio e più semplice. Cani che abbaiano, chiacchiere alla base della parete, bambini che scorrazzano ed altri climber che gridano smorfie di sofferenza mentre scalano. Queste condizioni sono per alcuni un vero dramma. Non ricordo più oramai quante liti sono nate per il mancato rispetto del silenzio. Le più note sono a causa dei cani. C'è chi è arrivato alle mani e chi ha promosso campagne di restrizione di accesso alle falesie da parte dei quadrupedi. In generale credo che anche in quel caso si tratti di forme di educazione. Anche io ho un cane e capisco quanto la sua esuberanza possa essere fastidiosa ad altri. Motivo per cui me lo porto solo in posti remoti dove sono sicuro che non ci siano altri cani.
Comunque, l'escludersi dal caos che ci circonda è un fattore allenante (pensate alle gare!!) e a me piace ogni forma di allenamento fisica o mentale che sia.
Sono seduto sempre in luoghi più o meno scomodi e mi concentro sulle mie scarpette. La punta almeno deve essere pulita e la gomma calda quanto necessario per un grip decente.
Il grado non conta molto quello che conta è come riuscirò ad esprimermi al 30-70-100%?
L'idea di concentrarsi sulle scarpette ha diversi fattori fisici reali che la supportano. Non si guarda altrove, il campo visivo è pieno di noi stessi e si compie un gesto di routine che non richiede concentrazione.
Basta così poco per aumentare le nostre capacità soggettive e avvicinarsi a livelli di resa decorosi. Scalare non è come lavorare in una catena di montaggio. I pezzi sono pochi ma devono essere perfetti. Un fine lavoro da orefici attenti alla perfezione del più piccolo dettaglio e all'armonia dell'insieme dell'opera.
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